ADHD: Intervento di Play Therapy Cognitivo-Comportamentale

Che cos’è l’ADHD?

Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, ADHD) è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente caratterizzato da un pattern persistente di deficit dell’attenzione, iperattività e impulsività che interferiscono con il funzionamento o lo sviluppo. In neuropsichiatria infantile, risulta essere uno dei disturbi più frequentemente diagnosticati. È pervasivo e cronico, si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età ed è prevalentemente presente nei maschi. Sebbene sia comunemente associato all’infanzia, l’ADHD può persistere fino all’età adulta, causando significativi impatti sulla vita quotidiana e sulle relazioni interpersonali.

Le persone con ADHD possono avere difficoltà a concentrarsi su compiti o attività specifiche, ad esempio a seguire istruzioni, organizzare attività o completare compiti scolastici o lavorativi. Inoltre, possono essere iperattive, manifestando un’eccessiva agitazione motoria, o impulsive, agendo senza pensare alle conseguenze.

È importante notare che l’ADHD può variare in gravità e presentazione da persona a persona. Alcuni individui possono essere principalmente inattenti, mentre altri possono essere principalmente iperattivi-impulsivi. Inoltre, alcuni possono manifestare sintomi di tutti e tre i tipi di ADHD, noto come ADHD combinato.

Ci sono tre tipi principali di ADHD:

  1. ADHD Disattento: è caratterizzato da difficoltà nel mantenere l’attenzione su compiti o attività specifiche. I bambini con questo tipo di ADHD possono sembrare “persi nei loro pensieri” e possono avere problemi nel completare i compiti o seguire le istruzioni.
  2. ADHD Iperattivo-Impulsivo: si manifesta con un’eccessiva energia e difficoltà a rimanere fermi o seduti per lunghi periodi di tempo. I bambini con questo tipo di ADHD possono sembrare costantemente in movimento e possono avere problemi nel controllare i loro impulsi, agendo senza riflettere sulle conseguenze.
  3. ADHD Combinato: Questo tipo di ADHD comprende sintomi sia di inattività che di iperattività/impulsività. È il tipo più comune di ADHD.

Come si manifesta l’ADHD?

L’ADHD infantile può manifestarsi in diversi modi, e i sintomi possono variare da un bambino all’altro. Ecco alcuni dei modi più comuni in cui l’ADHD può manifestarsi nei bambini:

  1. Difficoltà di attenzione: i bambini con ADHD possono avere difficoltà a concentrarsi su compiti o attività specifiche. Possono sembrare distratti, spesso perdendo dettagli importanti o commettendo errori superficiali nei compiti scolastici o nelle attività quotidiane. Possono avere difficoltà a seguire istruzioni, a mantenere l’attenzione durante le conversazioni o a completare i compiti. A scuola si manifestano evidenti difficoltà nel prestare attenzione ai dettagli, si compiono “errori di distrazione”, e i lavori sono incompleti e disordinati. Gli insegnanti riferiscono che i bambini con ADHD sembrano che non ascoltino e che si distraggono molto facilmente con suoni o altri stimoli irrilevanti.

In generale, quindi non solo all’interno dell’ambiente scolastico, il soggetto con ADHD, nel dominio della disattenzione:

  • spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività;
  • spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
  • spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
  • spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni);
  • spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;
  • spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa);
  • spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es. giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o strumenti);
  • spesso è facilmente distratto da stimoli estranei; spesso è sbadato nelle attività quotidiane.

 

  1. Iperattività: alcuni bambini con ADHD possono essere iperattivi, ossia avere un eccesso di energia e movimento. Possono sembrare sempre in movimento, correre o saltellare inappropriatamente nei momenti in cui è richiesta calma. Possono avere difficoltà a rimanere seduti durante le lezioni a scuola o durante i pasti, e possono sembrare sempre in azione. Per iperattività si intende un’iperattività sia dal punto di vista motorio (corrono nella stanza, non riescono a stare fermi o a stare seduti) che quello vocale.
  • Spesso muove le mani o i piedi o non riesce a stare seduto
  • Si alza in classe o in situazioni in cui ci si aspetta rimanga seduto
  • Corre in giro o si arrampica eccessivamente quando tali attività sono inappropriate
  • Ha difficoltà a giocare in attività tranquille
  • Si muove in continuazione come se fosse caricato da una molla
  • Parla eccessivamente
  1. Impulsività: difficoltà a controllare i loro impulsi. Possono interrompere gli altri durante le conversazioni, agire senza riflettere sulle conseguenze o intraprendere azioni rischiose. Possono avere difficoltà a aspettare il loro turno in situazioni di gruppo o a seguire le regole. L’impulsività può essere sia cognitiva (per es. non rispetta i turni nella conversazione) sia fisica, ovvero intraprende azioni pericolose senza considerare le possibili conseguenze negative (per es. attraversa la strada senza guardare se arrivano le macchine). Aspetto fondamentale, quindi, è che il bambino risulta incapace di attendere. L’impulsività è una caratteristica che rimane abbastanza stabile durante lo sviluppo(sebbene conosca diverse forme a seconda dell’età), tanto da essere presente anche negli adulti con ADHD.

In generale, il soggetto con ADHD nel dominio dell’impulsività:

  • spesso risponde ancor prima che le domande siano state completate;
  • spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
  • spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es. si intromette nelle conversazioni o nei giochi
  1. Disorganizzazione: l’ADHD può causare difficoltà nell’organizzazione delle attività quotidiane e dei compiti. I bambini possono perdere regolarmente oggetti importanti, dimenticare di completare i compiti o avere difficoltà a seguire una routine.
  2. Difficoltà nelle relazioni interpersonali: i bambini con ADHD possono avere difficoltà a fare amicizia o a mantenere relazioni interpersonali positive. Possono avere problemi nel comprendere le emozioni degli altri o nel rispondere in modo appropriato alle situazioni sociali.

È importante notare che non tutti i bambini con ADHD manifestano tutti questi sintomi, e la gravità dei sintomi può variare da lieve a grave. Inoltre, i sintomi possono cambiare nel tempo, con alcuni sintomi che possono migliorare con l’età o con il trattamento adeguato. La diagnosi e il trattamento dell’ADHD infantile richiedono un’attenzione individuale e personalizzata da parte di professionisti qualificati.

Quando si manifesta l’ADHD?

Nei bambini di età compresa tra 12 e 16 anni, la maggior parte degli studi indica tassi di prevalenza in un range tra il 2% e il 6%. L’ADHD nei bambini piccoli risulta relativamente persistente nel tempo. La stabilità dei sintomi aumenta con l’età del bambino, quindi la stabilità dei sintomi in età prescolare sarà maggiore rispetto a quella della prima infanzia e minore rispetto a quella dell’età scolare.

Quali sono le cause dell’ADHD?

La sindrome da deficit di attenzione e iperattività non riconosce una singola causa specifica. L’origine del disturbo sembra dipendere, infatti, dall’interazione di vari fattori ambientali, sociali, comportamentali, biochimici e genetici.

In particolare, studi di genetica che hanno coinvolti i bambini hanno mostrato l’esistenza di un’associazione tra l’ADHD e alcuni geni. Ad esempio, un’alterazione nel gene responsabile della produzione del neurotrasmettitore chiamato dopamina, potrebbe essere una delle cause di questo disturbo. Questo perché la dopamina veicola le informazioni fra i neuroni e, quindi, è alla base di molti processi cognitivi, come ad esempio attenzione e memoria.  Nonostante non vi siano ancora evidenze scientifiche consistenti, la maggior parte dei farmaci utilizzati per curare l’ADHD, infatti, agisce con l’intento di aumentare l’efficacia dell’attività della dopamina, aiutando così il soggetto a prestare maggiore attenzione.

Ulteriori studi hanno dimostrato anche la familiarità del disturbo: un bambino affetto da ADHD ha 4 volte più probabilità di avere un parente con la stessa malattia.

Esistono, poi, alcuni fattori ambientali che sono associati all’ADHD, in particolare fattori di rischio pre e post natale, come:

  • esposizione prolungata a fumo di sigaretta;
  • assunzione di alcool o droga in gravidanza;
  • ipertensione;
  • stress;
  • complicanze durante il parto;
  • nascita pretermine;
  • basso peso alla nascita.
  • Esposizione del bambino alle tossine ambientali (presentano un rischio maggiore di soffrire di problemi comportamentali e dello sviluppo. L’esposizione al piombo, che si trova soprattutto nelle vernici e nei tubi degli edifici vecchi è stata connessa ai comportamenti distruttivi e persino violenti e alla diminuzione della capacità di concentrazione).
  • Additivi alimentari (coloranti e i conservanti artificiali, probabilmente contribuiscono al comportamento iperattivo).

Altro ruolo importante è quello rivestito dalle interazioni conflittuali che si instaurano tra genitori e bambino, che influirebbero aumentando notevolmente la probabilità che il disturbo si manifesti a pieno, in tutta la sua gravità.

Le cause di natura neurobiologica che possono causare la comparsa dell’ADHD sono difetti nella struttura e nel funzionamento della parte frontale del cervello, responsabile di processi cognitivi primari come la pianificazione e l’organizzazione dei comportamenti, l’attenzione e il controllo inibitorio. I deficit strutturali possono poi interessare anche la regione cerebrale che regola le emozioni e una parte del sistema nervoso che regola la comunicazione all’interno del cervello.

Tutte queste regioni cerebrali sono interconnesse tra di loro e, quindi, un deficit anche in una sola di esse potrebbe originare il disturbo.

ADHD e intervento di Play Therapy Cognitivo-Comportamentale (CBPT)

Il trattamento ideale per l’ADHD è di tipo multimodale, cioè un trattamento che implica il coinvolgimento di scuola, famiglia e bambino stesso, oltre ad un intervento di tipo farmacologico, dove e quando necessario.
Attualmente l’ADHD viene solitamente trattata con una combinazione di farmaci e terapia comportamentale. 

In particolare, la Cognitive Behavioral Play Therapy (CBPT) è cresciuta negli ultimi 20 anni ed è utilizzata più spesso come trattamento di scelta per i bambini. Il gioco è il loro linguaggio e, durante una sessione di play therapy, i bambini sono liberi e aperti a imparare di più. La terapia del gioco cognitivo cognitivo-comportamentale può incorporare le tecniche cognitive e comportamentali utilizzate ma in un formato divertente e non minaccioso. Poiché gli interventi sono interessanti e giocosi, i bambini con ADHD si adeguano e si impegnano nel proprio trattamento.

I poteri terapeutici del gioco, come facilitare la comunicazione, l’autoregolamentazione e l’insegnamento diretto e indiretto (Schaefer & Drewes, 2014), possono aiutare i bambini con ADHD a identificare e comunicare i loro problemi attraverso il gioco e a partecipare più pienamente al trattamento. Un aspetto vitale dell’utilizzo della terapia del gioco è che il bambino sia attivamente coinvolto, praticante e sviluppi le competenze necessarie nel trattamento.

È stato documentato che il trattamento cognitivo-comportamentale può portare a risultati positivi per i bambini con ADHD (Antshel, Faraone e Gordon, 2014; Raggi & Chronis, 2006; Harris, Friedlander, Saddler, Frizzelle e Graham, 2005; Kaduson, 1997b). Tuttavia, la terapia del gioco cognitivo-comportamentale aggiunge l’aspetto importante del gioco ai compiti o alle tecniche (Abdollahian et al., 2013; Kaduson, 1997a).

Il piacere e le sensazioni positive del gioco consentono ai bambini con ADHD di provare sentimenti più positivi per contrastare l’impatto negativo sull’ambiente di insegnanti, genitori, fratelli e coetanei che dicono loro di fermarsi, prestare attenzione e comportarsi bene (Kaduson, 1997b)

I bambini con ADHD tendono a non completare i compiti e possono passare da un’attività all’altra, ma durante un periodo di gioco, i bambini sono in grado di attenersi a un compito con l’aiuto del terapeuta e di provare un senso di realizzazione. Infine, il gioco ha una qualità “come se”, il che significa che il gioco dei bambini viene svolto come se fosse la vita reale. Ciò è estremamente vantaggioso per i bambini con ADHD perché possono risolvere problemi, commettere errori, provare soluzioni, il tutto senza l’occhio critico degli altri.

La play therapy cognitivo-comportamentale è una terapia strutturata, breve e orientata agli obiettivi che vengono condivisi con il bambino e la famiglia. Il bambino viene accolto in un setting di gioco che ha l’obiettivo di creare l’alleanza terapeutica e i genitori seguono un percorso parallelo al figlio finalizzato all’apprendimento e potenziamento delle competenze genitoriali.

L’intervento si articola nelle seguenti fasi:

  1. FASE DI ORIENTAMENTO: è la fase iniziale della play therapy cognitivo-comportamentale. C’è un’enfasi significativa sulla preparazione sia del bambino che dei genitori. È cruciale organizzare un incontro iniziale tra il terapeuta e i genitori, senza la presenza del bambino, per esaminare dettagliatamente la storia e le informazioni di base. Questo permette ai genitori di condividere la propria percezione del problema del bambino. Durante questi incontri iniziali, il terapeuta assiste i genitori nella preparazione del bambino per la prima sessione. In questa fase, viene anche spiegato il ruolo continuo dei genitori e di altri adulti significativi nel processo di valutazione e trattamento del bambino. Nonostante l’attenzione al bambino durante la play therapy cognitivo-comportamentale, il terapeuta continua a interagire regolarmente con i genitori per offrire supporto e valutare il progresso degli obiettivi terapeutici.
  1. FASE DI VALUTAZIONE: si focalizza sulla raccolta di informazioni cruciali per stabilire gli obiettivi della terapia. Oltre ai colloqui con i genitori, un elemento chiave è l’osservazione del gioco del bambino. Durante questa fase vengono impiegati diversi strumenti, tra cui questionari somministrati ai genitori, la valutazione del gioco del bambino, la valutazione del gioco familiare, il compito di completamento delle frasi con i puppets, e altre misure personalizzate sviluppate dal terapeuta. Il terapeuta può stabilire una baseline per la frequenza dei comportamenti del bambino, consentendo di valutare i cambiamenti del comportamento nel corso del trattamento.
  2. FASE DI CONCETTUALIZZAZIONE DEL CASO: la play therapy cognitivo-comportamentale inizia con l’analisi dei dati raccolti durante la valutazione del bambino, con l’obiettivo di pianificare un trattamento efficace e fornire una struttura logica per lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Si comincia spiegando il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), analizzando i fattori individuali, relazionali e ambientali correlati alle preoccupazioni dei genitori. Si esamina il lato emotivo, i pensieri, le sensazioni fisiche e le strategie di coping che il bambino utilizza. Questa fase include anche l’analisi dei fattori di protezione, rischio e mantenimento che contribuiscono al comportamento del bambino.
  3. FASE DI INTERVENTO: della terapia nella play therapy cognitivo-comportamentale si concentra sull’uso di tecniche CBT che aiutano il bambino con il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) a sviluppare risposte più adattive ai problemi, alle situazioni e ai fattori di stress. L’attenzione è sull’apprendimento di pensieri e comportamenti più adattivi. I metodi utilizzati includono il modeling, il role playing, la biblioterapia, la generalizzazione e la prevenzione delle ricadute. Gli interventi sono spesso tradizionali interventi cognitivi adattati attraverso strumenti di gioco come il disegno e le arti espressive, l’ascolto di storie di protagonisti con lo storytelling terapeutico o l’interazione con puppets che affrontano situazioni simili. Il trattamento include interventi volti a aiutare il bambino a generalizzare i comportamenti appresi durante le sessioni ad altri contesti e a lavorare per la prevenzione delle ricadute. Anche se il focus principale è sul bambino, è importante mantenere incontri regolari con i genitori per monitorare i progressi, valutare e intervenire sull’interazione tra il bambino e i genitori, e fornire consigli sulle aree di interesse.
  4. FASE DI CONCLUSIONE della terapia, sia il bambino che la famiglia sono coinvolti attivamente. Durante questo periodo finale, il bambino affronta i sentimenti legati alla fine della terapia, mentre il terapeuta sottolinea i cambiamenti avvenuti e consolida il processo di apprendimento. Le sessioni finali possono essere estese nel tempo, passando da incontri settimanali a quindicinali o mensili. Questo aiuta il bambino a percepire la sua capacità di gestire la vita senza il terapeuta. Il terapeuta rafforza positivamente i progressi del bambino tra le sessioni e cerca di normalizzare l’esperienza di separazione. Dalla conclusione dell’intervento vengono previsti follow-up a 3 mesi, 6 mesi, 12 mesi e 24 mesi per verificare l’efficacia dell’intervento.

Quali sono gli obiettivi terapeuti?

Nella play therapy cognitivo-comportamentale la definizione degli obiettivi viene condivisa  con i bambini e le loro famiglie. Di fronte an quadro di ADHD, generalmente ci si pone i seguenti obiettivi: 

  • sviluppare strategie che guidino il bambino in modo sistematico alla pianificazione del proprio comportamento nei diversi ambiti di vita e alla risoluzione dei problemi (Problem Solving).
  • acquisizione della capacità di monitorare le proprie azioni, sviluppando una capacità di autoregolazione verso l’impulsività e la disattenzione.
  • trarre informazioni importanti dai propri errori per autocorreggersi, ma anche a sapersi premiare per il raggiungimento di risultati positivi.
  • incrementare delle abilità sociali, attraverso il rispetto delle regole, lo sviluppo di interazioni più efficaci e la capacità di decodificare lo stato emotivo altrui, per poter rispondere e relazionarsi in modo adeguato e funzionale.

Cosa possono fare i genitori?

Per facilitare l’intervento sui bambini, i genitori devono essere formati su come comprendere e gestire il comportamento dei loro figli e su come essere i sostenitori di cui hanno bisogno. Un approccio multimodale include anche il PARENT TRAINING riguardo ai fatti relativi alla diagnosi e al trattamento dell’ADHD.

genitori, avete bisogno di aiuto?

superiamo le sfide familiari insieme

INTERVENTO DI PARENT TRAINING NELLA ADHD

Cos’è il Parent Training?

Il Parent Training è modello d’intervento basato sulla competenza dove si parte dal presupposto che le famiglie sono in grado di condurre e affrontare il problema e che tutte le famiglie abbiano punti di forza e possano imparare.

Il parent training inserito nella Play therapy cognitivo-comportamentale sottolinea l’importanza del coinvolgimento nel setting della playroom anche dei genitori, i quali hanno la possibilità di osservare e via via implementare un intervento per modellare i comportamenti adattivi alla presenza del terapeuta. Enfatizza la capacità di adattamento e la capacità di apprendimento dei genitori e  propone di modificare lo stile relazionale e gli atteggiamenti che influiscono negativamente sui comportamenti dei bambini .

I genitori, in questo modo, hanno la possibilità di:

    • Apprendere nuove competenze
    • Imparare e praticare tecniche specifiche
    • Ricevere feedback individualizzati e continui dal terapeuta per essere aiutati a diventare più consapevoli
    • Imparare a interpretare in modo più accurato le emozioni, le preoccupazioni e la comunicazione dei loro figli, espresse attraverso il loro gioco.

Questo programma denominato PARENT TRAINING CBPT segue un approccio integrato e innovativo fondato sui seguenti approcci:

APPROCCIO EDUCATIVO 

Le tematiche comprendono:

  • La natura dei problemi/disturbi del bambino
  • Lo sviluppo del bambino in relazione al disturbo
  • I principi generali dell’apprendimento
  • Il modello transazionale delle relazioni genitore-figlio

APPROCCIO MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO

L’obiettivo è rimuovere le condizioni all’origine dei comportamenti­ problema e sostituirli con condotte desiderabili da un punto di vista adattivo e sociale. I genitori lavorano per apprendere nuove abilità che comprendono:

  • Shaping
  • Estinzione/ignorare
  • Rinforzo positivo (tangibile, sociale, sistemi di token)
  • Rinforzo differenziale
  • Time out (sospensione del rinforzo positivo)
  • Tecniche di rilassamento

APPROCCIO COGNITIVO

I genitori lavorano per apprendere nuove abilità che comprendono:

  • Abilità di problem solving
  • Ristrutturazione cognitiva
  • Automonitoraggio
  • Aspettative realistiche

APPROCCIO ALLO SVILUPPO DELLA RELAZIONE

I genitori lavorano per apprendere nuove abilità che comprendono:

  • Ascolto empatico (commenti non direttivi, descrittivi, riflessivi)
  • Uso di un tempo di gioco diretto al bambino
  • Consegna di ordini efficaci
  • Instaurare aspettative chiare (es regole della casa)
  • Uso di giochi/libri terapeutici (il genitore con il figlio
  • Abilità di ascolto

Come si struttura l’intervento di Parent Training nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale?

Anche se il lavoro principale è con il bambino, è importante incontrare periodicamente anche i genitori. Il coinvolgimento dei genitori nella play therapy cognitivo-comportamentale è importante, sia durante la valutazione che durante il trattamento. Viene previsto con un percorso parallelo alla terapia del bambino, dove viene sottolineato il ruolo fondamentale dei genitori nell’influenzare i comportamenti disadattivi dei loro figli. I genitori spesso vengono incoraggiati a rafforzare e rinforzare il comportamento adattivo del bambino per proseguire il trattamento al di fuori della terapia (es. vengono addestrati a utilizzare il rinforzo appropriato dei comportamenti adattivi e l’estinzione di quelli disadattivi).

A chi è rivolto? E’ rivolto ad entrambi i genitori

Quanto dura? Tendenzialmente vengono svolti da  6 a 14 incontri, organizzati in un incontro a settimana dalla durata di 1 ora

Il percorso viene strutturato in fasi:

    1.FASE ASSESSMENT : si analizza il problema, si adatta lo stile educativo e i definisce l’obiettivo. In questa fase i genitori ricevono informazioni sulle cause e le conseguenze dei comportamenti disfunzionali dei figli e imparano a stabilire delle regole chiare e coerenti

    2.FASE DI APPRENDIMENTO: in questa fase si lavora per definire nuovi apprendimenti di tutte quelle abilità fondamentali per supportare il cambiamento del bambino.  I genitori hanno la possibilità di conoscere ed esercitare “le tecniche” attraverso l’uso di sessioni di pratica, in cui il terapeuta mette in atto il ruolo del bambino, guidando e istruendo i genitori. In particolare  si lavora su:

      • Padronanza dei prerequisiti
      • Modellamento delle abilità
      • Role-playing
      • Apprendimento senza errori
      • Approssimazioni successive (shaping)
      • Feedback (rinforzatori verbali e sociali, token economy)
      • Pratica

    3.FASE DI PRATICA: in questa fase vengono previste  sessioni di gioco con i propri figli. Si mettono in pratica le competenze apprese. I genitori imparano a riconoscere e prevenire le situazioni che causano i comportamenti difficili dei figli e a usare le stesse strategie di problem solving in diverse situazioni. Dopo alcuni momenti di pratica con il terapeuta, i genitori iniziano a tenere sessioni di gioco con i propri figli, singolarmente, sotto la supervisione del terapeuta.

    4.FASE DI CONFRONTO: i genitori dialogano con il terapeuta sulle sessioni di gioco fatte a casa, per imparare come generalizzare ciò che hanno appreso. Vengono discussi gli aspetti che i genitori sentono di aver fatto bene e affrontati possibili problemi che sono sorti.

    In questa fase il terapeuta aiuta i genitori a generalizzare tutti gli interventi appresi e le abilità alla base delle competenze e capacità genitoriali che hanno imparato durante la fase di allenamento.

    Ogni settimana, viene dedicato un po’ di tempo all’utilizzo di ciò che hanno imparato nelle situazioni della vita quotidiana e vengono assegnati compiti a casa volti all’uso delle tecniche.

    5.FASE DI CONCLUSIONE: si verifica quando gli obiettivi terapeutici sono stati raggiunti e i genitori hanno acquisito un buon livello di competenza, per ciò che riguarda le attività di gioco e le abilità genitoriali. Spesso la terapia viene portata a conclusione in modo graduale, con la frequenza degli incontri che viene ridotta a settimane alterne, poi mensile e così via.

    Obiettivi del Parent Training

    Questo percorso aiuta il genitore a interagire in modo efficace con il proprio figlio, sviluppando abitudini e tecniche comportamentali e comunicative funzionali. Obiettivo dell’intervento sarà quello di rimuovere le condizioni all’origine dei comportamenti-problema e di sostituirli con condotte desiderabili da un punto di vista adattivo e sociale.  Gli obiettivi sono focalizzati per prevenire le disfunzioni, promuovere il benessere e migliorare le condizioni di crisi.

    Gli obiettivi del lavoro con i genitori sono:

      • Accrescere la loro comprensione del comportamento problematico del bambino;
      • Stabilire aspettative più realistiche;
      • Aumentare il calore, la fiducia e l’accettazione nei confronti del figlio;
      • Capire l’importanza dell’interazione attraverso il gioco;
      • Comunicare in modo più efficace con i propri figli;
      • Sviluppare maggiore fiducia come genitori e ridurre le frustrazioni vissute con i propri figli.
      • Sviluppare di una maggiore pazienza per creare aspettative più realistiche;
      • Discutere le reazioni personali con il terapeuta per sviluppare un maggior grado di comprensione dei propri sentimenti e comportamenti;
      • Imparare come diventare i migliori risolutori di problemi e dei
        conflitti familiari e sviluppare una maggiore motivazione verso il cambiamento.

    Bibliografia

    Favaro, A., & Sambataro, F. (2021). Manuale di psichiatria. Piccin.

    Geraci M. A. (2022). La play therapy cognitivo-comportamentale. Armando Editore. Roma

    Geraci M. A. (2023). Comprendere il mondo dei bambini giocando. Armando Editore. Roma

    Geraci M. A.  (2024). Il mindo della dottoressa Lulù. Collana Amzon – CBPT Books.

    Knell S. M. (1993). Cognitive Behavioral Play Therapy. J. Aronson

    American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr.it.

    Pandolfi, E. (2010). I Disturbi Esternalizzanti nell’Infanzia: fattori di rischio e traiettorie di sviluppo. Semestrale a cura degli studenti della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva e dell’Associazione di Psicologia Cognitiva, 50.

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